DiAli

Angelo custode dei nati tra il 21 Aprile e il 25 Aprile

Acaiah, angelo 7, dei nati fra il 21 e il 25 aprile

 Achaiah, o ’Aka’ayah, è il settimo Soffio e settimo raggio angelico nel Coro nettuniano degli Angeli Serafini guidato dall’Arcangelo Metatron, nel quale governa le energie di Mercurio. Il suo elemento è il Fuoco; ha domicilio Zodiacale dal 0° al 5° del Toro ed è l’Angelo Custode dei nati fra il 21 e il 25 aprile.

I sei Angeli Custodi del Toro, collettivamente, fanno dei loro nati persone serie, responsabili, gradevoli e meritevoli di fiducia; inoltre accordano loro la sicurezza materiale.

Il nome di Achaiah significa “Dio buono e paziente”

Il dono dispensato da Achaiah è il CORAGGIO

Dice Haziel che, da un punto di vista collettivo, questo Angelo domina la diffusione della cultura in tutto il mondo, favorendo le scoperte scientifiche e le invenzioni utili all’umanità. Sul piano individuale invece la sua missione consiste nel rivelare alla persona le possibilità connesse alla sua organizzazione mentale (o interiore), guidando a utilizzare scientemente i propri pensieri per comprendere l’esteriorizzazione del pensiero Divino, e utilizzare le facoltà che ne derivano per organizzare la propria vita, attribuendole senso e finalità precisi. Il pensiero Divino che, promanato da Metraton, si riversa negli uomini attraverso le energie mercuriane di Achaiah, esercita forte potere di trasformazione su ogni creazione naturale; pertanto con l’aiuto di quest’angelo l’individuo potrà dare luogo a nuove e più proficue configurazioni nelle persone e nelle cose, in grado di esaltare, intensificare, mettere a frutto al meglio tutto ciò che più conta. Grazie a questo Angelo il potere supremo della Volontà delle Volontà Metatron attiva il Fuoco-disegno e l’Acqua-sentimenti. Achaiah dissolve tutto ciò che ha carattere primario al fine di creare delle circostanze nuove intensamente favorevoli. Questa dinamica di distruzione-ricreazione si insedierà in noi per poter eliminare opere di modesta portata al fine di ri-crearle migliorate. Se invocato l’Angelo assisterà questo percorso, continua Haziel, con assoluta precisione, facendoci dono di una straordinaria lucidità intellettuale. In altre parole nei protetti da Achaiah esiste la potenzialità di trasformare la realtà armonizzando in modo molto proficuo l’Ingegno e la determinazione con la dolcezza; allo stesso modo egli può dispensare questo dono a tutti coloro che lo invocano.

Sappiamo che secondo la Kabbalah tre versetti dell’Esodo (ciascuno composto da 72 lettere), celano il codice dei 72 Nomi di Dio; e precisamente i versetti 19, 20 e 21 (ciascuno composto da 72 lettere) del capitolo 14: “l’Angelo di Dio che precedeva l’accampamento di Israele cambiò posto e si pose dietro di loro. Anche la colonna di nube si mosse e dal davanti passò indietro. Venne così a trovarsi fra l’accampamento degli Egiziani e quello di Israele. (Es. 14, 19). Questa nube da un lato (cioè per alcuni) era tenebrosa, dall’altro (cioè: per altri) rischiarava la notte; così per tutta la notte gli uni non poterono raggiungere gli altri. (Es. 14, 20). Allora Mosé stese la propria mano sul mare e l’Eterno, durante tutta la notte, ritirò il mare con un forte vento da Oriente, rendendolo asciutto; e le acque si divisero”. (Es. 14, 21). Riguardo alle origini delle lettere nel trigramma-radice di questo Nome aleph, caph, aleph, la prima Aleph proviene dall’Angelo, la Caph (il palmo della mano) viene dal Tutto; la terza lettera, cioè la seconda Aleph, è attributo della mano di Mosé. Il rebus formato da queste tre lettere mostra la relazione tra gli essere spirituali e i figli della Terra; la mano di Dio è tesa verso coloro che desiderano ricevere la forza dalla Sua potenza (interpr. Muller/Baudat). La configurazione di questo Nome rimanda a potenzialità creative ed energetiche veramente notevoli, savoir-faire intellettuale e capacità di discernimento; volontà di progredire utilizzando tutte le proprie attitudini per poi condividerle con il resto del mondo. Relazioni equilibrate tra spirito e istinto, capacità e intelligenza in grado di apportare molte soluzioni.

Achaiah secondo Sibaldi

Dice Sibaldi che la radice
 aleph, caph, aleph di questo Nome cela la frase: ho due anime, e una contiene, domina, modella l’altra. E aggiunge che nella vita dei protetti da questo Angelo tutto dipende dal modo in cui sapranno far fruttare il rapporto tra le due «anime» (di cui parla il Nome): una estroversa, gioiosa, creativa, e l’altra cupa, inerte, autodistruttiva. Tale rapporto è essenzialmente una costrizione reciproca (la kaph nel nome), nel prevalere ora di una loro «anima», ora dell’altra; ne consegue un perenne duello interiore che impone precise e severe regole e fasi, in una dinamica che a tutti loro sarà utile conoscere e riconoscere. E vediamo quali sono.

Regola e fase n°1: gli ’Aka’ayah riescono soltanto nelle imprese difficili. La tensione tra le loro due «anime» – come tra due poli di una pila – produce infatti troppa energia perché possano accontentarsi di mansioni ordinarie. Se, perciò, si scelgono un’attività tranquilla, la renderanno complicata. Nei periodi in cui tutto va bene, cioè, è possibile che sentano il bisogno di ricreare tensione interiore “creando” essi stessi problemi, o nuove sfide, per usare quell’energia.
Regola e fase n. 2: la loro energia è talmente grande che, una volta ottenuto un qualsiasi successo, non sanno né premiarsi né riposarsi: la loro «anima» estroversa li spingerà a proseguire fino all’eccesso, e allo sfinimento; e a quel punto sarà l’altra «anima» ad assumere il loro controllo; il rischio a questo punto è che essi precipitino in stati di deprimente prostrazione.
Regola e fase n. 3, la più difficile: devono sprofondarsi in questa depressione, accettarla, lasciarsene dominare; se invece cercano di resisterle, non faranno che prolungarla; se vi si abbandonano un po’, sarà come il letargo dei plantigradi, che li ritempra, li rinnova. Regola e fase n. 4, quella decisiva: tale letargo termina d’un tratto, da un giorno all’altro gli ’Aka’ayah si riscoprono attivi, carichi di energia e di uno slancio tutto particolare, concentrato, introverso, fatto per lo studio, la riflessione, l’accurata preparazione d’imprese ancor più difficili e ambiziose di quelle già realizzate. Quanto più determinati e pazienti gli ’Aka’ayah saranno in questa fase, tanto più grandi saranno i successi che di lì a poco sapranno conquistarsi – per poi naturalmente esaurirsi di nuovo e ripiombare nel letargo, e così via…
Questo ciclo si ripete ininterrottamente nella loro vita, dall’infanzia fino alla profonda vecchiaia, plasmando nelle sue fasi giornate, mesi e anni con ritmi ogni volta diversi, a seconda di come gli ’Aka’ayah ne assecondano o ne intralciano il procedere. Può diventare la loro principale fortuna: non è da tutti poter disporre così infallibilmente di un periodo di reintegrazione delle energie, come una catapulta che venga tesa e caricata, per poi scattare! Oppure può essere la causa delle loro maggiori disgrazie: se infatti un ’Aka’ayah commettesse l’errore di legarsi a qualcuno o a qualcosa (a un lavoro fisso, poniamo) proprio durante il suo periodo depresso, si legherebbe non soltanto a quel qualcosa e a quel qualcuno ma anche alla depressione, e ne rimarrebbe prigioniero fino a che non riuscisse a spezzare gli impegni presi allora. Se viceversa credesse di essere veramente se stesso soltanto nei periodi di maggiore slancio, l’improvviso, irresistibile arrivo del letargo lo troverebbe impreparato e lo getterebbe in una superflua, dannosissima disperazione. Attenzione dunque: questi esseri bifronti devono imparare a conoscere entrambi i propri aspetti, l’attivo e il passivo, a coglierne le alternanze e a pilotarle con saggezza.
Sarà prudente, a tale scopo, evitare senz’altro le professioni impiegatizie, e in genere tutte quelle che richiedono una continuità nel rendimento. La personalità degli ’Aka’ayah non riuscirebbe, infatti, a reggere a un’esistenza più o meno uguale ogni giorno: hanno bisogno delle loro lunghe pause, poi di periodi tutt’a un tratto entusiasmanti. Non solo: sia nei momenti peggiori della fase letargica, sia nel successivo periodo di concentrazione, capita che cambino profondamente, che compiano scoperte per loro fondamentali, dopo le quali appare loro impossibile continuare a vivere come prima. Li anima, anche, il desiderio di comunicare tali scoperte, oltre che di esprimere, raccontare in qualche modo le tensioni del loro strano destino: e ciò fa di loro degli autentici artisti – e attori soprattutto, abituati come sono, fin dalla nascita, a impersonare due ruoli. Abbiamo così, tra gli ’Aka’ayah, nientemeno che Shakespeare, e poi una vera folla di star (da Nicholson ad Al Pacino – del resto il ritmo cinematografico, dalle lunghe attese all’improvviso balzo del «Motore! Azione!» è consono alla loro indole). Sono portati alla filosofia, e fin dall’adolescenza li agita, in quelle fasi, il desiderio di capire il perenne mutare del loro stato d’animo e del mondo attorno a loro. E quando diventano filosofi di professione, è impossibile non sorridere del loro akayanesimo, dell’impronta cioè che il loro Angelo dà alla loro immagine del mondo. Kant, per esempio, che cerca appassionatamente un punto fermo (l’intelletto, per lui) a cui ancorare le continue oscillazioni dell’uomo tra ragione e sentimento, e sul quale costruire principî d’azione finalmente categorici, universali (capaci di resistere, diremmo noi, in tutte quante le fasi akayane). Oppure Max Weber, che stabilì un diretto rapporto di causa-effetto tra il pessimismo calvinista e il successo economico – tra fase depressiva e conseguente slancio, insomma. Tra i filosofi della materia e della natura, gli scienziati, vi fu Guglielmo Marconi – guarda caso la radio doveva stabilire un collegamento fino ad allora inimmaginabile tra le due sponde dell’Atlantico: e anche qui si espresse il bisogno di stabilire ponti tra i due opposti sistemi che da sempre aveva avvertito in se stesso. È interessante notare l’alternarsi delle due «anime» akayane e delle loro fasi anche in famosi politici nati in questi giorni, come Cromwell e Lenin, dapprima tenutisi a lungo in ombra, e divenuti poi travolgenti protagonisti di rivoluzioni, e infine cupi tiranni, kaph personificate. Certo, per chiunque abiti con degli ’Aka’ayah, anche molto meno imperiosi di questi, una notevole fase di stress, così come di pazienza serafica, è da mettere in conto, sia quando giacciono disfatti e lamentosi, con lo sguardo fisso nel vuoto, sia quando sono talmente presi dall’attività da dimenticarsi di mangiare e dormire. Ma l’albero si giudica dai frutti, e così pure il giardiniere. Favorire, guidare, stimolare accortamente (e al momento giusto) la fruttificazione di questi animi tutt’altro che noiosi può dare splendide soddisfazioni, a quei loro compagni che abbiano nervi saldi e cuore generoso.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Carrello chiudi