Si dice che la guarigione sia una dimenticanza: incontrare il proprio carnefice, stringergli la mano, comporta un ridimensionamento di colui che ha cinto il coltello che ci ha ferito. Improvvisamente appare più piccolo. E non solo.
Quell’essere che un tempo appariva abominevole, senza volto, dalle vesti scure, che silenziosamente vagava tra le stanze della mente, improvvisamente diventa qualcosa da mostrare. Diventa una fiaccola da portare con sé nei nuovi meandri della Coscienza.
La paure disvelate diventano ali per ambire a vette sempre più alte. Le ferite diventano branchie per trattenere il respiro in gole inesplorate.
Ne abbiamo incontrati di spiriti che ci mostravano il volto dietro le vetrate.
Cosa fa da schermo? Cosa ci impedisce di affondare la mano nella melma densa dell’Inconscio?
Nel buio c’è sempre qualcosa che si muove, che striscia contro le pareti. Lo senti. Avverti la sua presenza sempre più vicino: senti le vibrazioni della sua carne che si avvicina alla tua: hai quasi la sensazione che la pelle si espanda. Qualcosa è sgattaiolato dietro i mobili ma non hai fatto in tempo a vedere cosa fosse. Eppure è stato sempre lì. Da sempre. E’ nato con te. O forse persino prima. Ma ora lo sai. Ora sai che c’è qualcosa. Ma è un qualcosa che puoi osservare solo con la coda dell’occhio: se lo fissassi si perderebbe nelle tenebre.
Così chiudi gli occhi e aspetti che faccia lui il primo passo. Cerchi di respirare a fondo per apparire calmo. Ma lui sa che non lo sei. Sa che fingi di esser quieto. Ed è proprio questo ad alimentarlo.
Lascia che ti si corichi addosso. Lascia che il suo respiro diventi il tuo. Lascia che il suo silenzio ti parli.
La consapevolezza non è restare in una stanza buia ma abituare la mente alle tenebre.
Mario Bucci